
Se fosse un quadro sarebbe di Dalì.
Se fosse musica sarebbe un quarantacinque giri che salta sempre al solito punto.
Se fosse un film sarebbe diretto da Christopher Nolan.
“Le sette morti di Evelyn Hardcastle” è un labirinto da cui il lettore non può scappare, una pioggia fitta senza arcobaleno, una nave senza bussola, una notte fonda senza stelle.
Ed è bellissimo.
Il libro nato dalla penna di Stuart Turton non è facile da collocare, non rientra perfettamente in alcun genere letterario.
È un romanzo quel tanto che basta per fornirgli un’ambientazione pittoresca: una grande dimora, un tempo nel pieno della sua bellezza ma oramai decadente e lugubre; domestici in stile Downton Abbey; ospiti guardinghi, cavalli, battute di caccia e abiti da sera.
È un thriller, perché non di una, ma di sette morti misteriose si parla. Poco importa che a tirare le cuoia sia sempre la stessa persona. Come? Con una buona dose di fantasy ed esoterismo.
Aiden, il protagonista, non fa che rivivere più e più volte sempre lo stesso giorno, anche se da diverse angolazioni e punti di vista, acquisendo di volta in volta nuove informazioni che lo porteranno a risolvere il mistero.
Cosa accade a Evelyn? Per quale motivo ogni sera muore sempre alla stessa ora davanti allo specchio d’acqua? E soprattutto, per mano di chi?
Il romanzo di Turton è sensazionale, qualcosa che sicuramente non avrete mai letto prima.
Se deciderete di leggere questo libro e bussare alla porta di Blackheath House preparatevi a non uscirne più.