
Se qualcuno mi chiedesse come deve essere secondo me un romanzo, gliene mostrerei uno di Peter Cameron. Va bene uno qualsiasi, questo autore è narratologicamente, letterariamente perfetto. Ma “Quella sera dorata” è qualcosa di più. Ha quel qualcosa che non si può spiegare, che ti incanta a ogni pagina.
Sarà la grazia della sua scrittura, sempre elegante, sempre pulita.
Saranno i dialoghi arguti, mai banali, ma sempre significativi.
Saranno i personaggi, talmente caratterizzati da sembrare vivi. Sembra di vederli, di conoscerli. Dopo poche pagine ne intuisci le mosse, ne comprendi gli umori.
Sai che se Caroline non scende dalla torre dorata in cui si chiude per cercare di dipingere non è semplicemente perché non ha voglia di trascorrere la serata in compagnia di Arden, Adam, Pete e quel nuovo ragazzo spuntato dal nulla. Non è solo perché cerca l’ispirazione per la sua opera, c’è qualcosa in più che la turba. Lo si vede dal modo in cui si affaccia alla finestra, dal bicchiere di scotch in mano, dalla cortese faziosità con cui si rivolge a tutti, dai silenzi lunghi tra una parola e l’altra.
Sai anche che Adam è infelice, non solo perché è vecchio, non solo perché suo fratello non c’è più, non solo perché vuole lasciare libero Pete. È infelice, malgrado le sue battute taglienti. È infelice nonostante la sua allegra ospitalità. È infelice a dispetto della sua loquacità.
Capisci che Arden è a casa senza sentircisi davvero. Che è innamorata senza volerlo. Che è spaventata senza mostrarlo. Che è troppo giovane per vivere così, che ha un passato troppo turbolento per non farle desiderare non solo una quiete stabilità, bensì – finalmente – la felicità.
Capisci che Omar, il ragazzo arrivato all’improvviso a Ochos Rios, è un debole, imprigionato in una vita che non vuole, con un lavoro che non lo soddisfa e una donna che non ama.
Sai tutto questo perché Peter Cameron te lo mostra a ogni riga, a ogni parola. Lui riempie le pagine di pennellate, offre un quadro preciso della situazione e il lettore non può che ammirare quel capolavoro di colori e lasciarsi avvolgere da luci e ombre.
È tutto talmente perfetto, che la trama ha poca importanza: un ricercatore universitario (Omar) vuole scrivere una biografia su un autore deceduto e cerca di ottenere l’autorizzazione dai familiari del defunto scrittore. Bello, ma non è questo che racconta Peter Cameron. Lui racconta tutto il resto, tutto ciò che si cela dietro il tremolio di una mano, una lunga passeggiata, un silenzio imbarazzato, uno sguardo furtivo.
Ed è questa la meraviglia di un romanzo. È questa la meraviglia di Cameron.
Bella prosa davvero!! Hai ragione Roberta: “mai banale”.
Tra i “passi” che hai menzionato, io personalmente ne riporto uno che ritengo “straordinario”:
“Capisci che Arden è a casa senza sentircisi davvero. Che è innamorata senza volerlo. Che è spaventata senza mostrarlo. Che è troppo giovane per vivere così, che ha un passato troppo turbolento per non farle desiderare non solo una quiete stabilità, bensì – finalmente – la felicità.
Davvero stupendo questo scrittore.
Sarebbe bello “masticare” l’inglese a livello di “lingua madre” per poterlo leggere in “originale”.
Grazie Roberta.
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