PURITY – recensione

Il Lotus Mudra rappresenta la purezza, un fiore che si schiude. Proprio come Pip, destinata a rinascere dopo una vita di ombre e segreti
Purity odia il proprio nome, lei che di puro crede di non avere proprio nulla. Invischiata in un rapporto di co-dipendenza con la sua lunatica e nevrotica madre, cerca di barcamenarsi nel mondo degli adulti, sopravvivendo come può in situazioni al disotto della soglia di povertà e con un ingente debito studentesco da ripagare.
Come se la vita non fosse già abbastanza difficile per Pip – così si fa chiamare Purity per sfuggire al peso del suo nome – a darle grattacapi ci si mette anche la sua incompiutezza, la mancanza di punti di riferimento stabili e solidi.
Pip non ha mai conosciuto suo padre e dal suo unico genitore ricava solo bugie raccontate male.
Non è colpa sua se è così incasinata, si dice Pip. Chiunque lo sarebbe nelle sue condizioni. Decisa a mettersi sulle tracce di suo padre, Pip si lascia attrarre dal Sunlight Project e soprattutto dalla figura carismatica del suo fondatore, Andreas Wolf, una personalità complessa che pone il suo e altrui operato sotto i riflettori e nasconde nell’ombra della sua anima nera i segreti più impensati. Segreti che ha confidato solo a Tom Aberant e che, forse, non avrebbe mai dovuto dire.
Un gruppo di persone – Andreas, Tom, Annagret, Colleen, Leila, Anabel – si ritroveranno a ruotare attorno a Pip e a rimettere in discussione tutte le sue certezze.
Franzen scrive un romanzo complesso, che non segue un ordine cronologico lineare e che proprio per questo diventa dinamico, nonostante la corposità dell’opera.
Ogni aneddoto raccontato acquista senso nei capitoli successivi. Nulla nella narrazione di Franzen è lasciato al caso.
Jonathan Franzen è considerato uno dei migliori scrittori contemporanei e dopo aver letto Purity non fatico affatto a esserne d’accordo.
- Purity
- Jonathan Franzen
- Einaudi
- € 15.00, pp. 661.